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JUNGLE FEVER
(JUNGLE FEVER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 maggio 1991
 
di Spike Lee, con Wesley Snipes, Annabella Sciorra, Ossie Davis, Spike Lee, Ruby Dee, John Turturro, Samuel L. Jackson, Anthony Quinn, Tim Robbins (Stati Uniti, 1991)
Meno appariscente del precedente FAI LA COSA GIUSTA, JUNGLE FEVER rappresenta a tutt'oggi il film più lucido del brillantissimo regista nero.

L'urgenza è sempre quella (come non potrebbe esserlo?): il razzismo nei sobborghi di New York. Ma il discorso evolve, poiché non è più a senso unico, quello rabbioso e quasi iconoclasta di DO THE RIGHT THING: dal segregazionismo dei neri ad opera dei bianchi siamo ormai a quello dei bianchi praticato dai neri. Senza parlare di quello degli italoamericani nei confronti degli americani di origine irlandese, dei portoricani per gli orientali; e di tutti e quanti, ovviamente, nei confronti degli israeliti.

Una love-story piuttosto torrida tra un Black di lusso ed una segretaria italo-americana: l'aria che tira è chiara fin dall'inizio. Costruito più di sempre sul ritmo indiavolato dei dialoghi (mentre la musica - di Stevie Wonder - è più decorativa e meno significativa del rap determinante di FAI LA COSA GIUSTA o del jazz di MO' BETTER BLUES) JUNGLE FEVER fa pensare ad un Woody Allen con la rabbia nera invece che con l'ironia yiddish, tanto il suo sviluppo - tutto fondato sul parallelismo perverso dei comportamenti delle due comunità nere e bianche - risulta armonioso.

Qualcuno rimpiangerà il radicalismo precedente di Lee; ma sarebbe un errore considerare JUNGLE FEVER come un compromesso. Non solo il regista non risparmia nessuna delle ambiguità che affliggono la propria comunità (una delle sequenze più esilaranti, ed al tempo stesso critiche è una riunione in chiave anti-machista delle giovani mogli nere: "osservate i Fratelli che sono arrivati: hanno tutti una bianca al loro braccio... "). Ma Spike Lee sa dosare perfettamente il passaggio dalla satira scatenata, alla constatazione quasi accorata di un mondo nel quale l'affetto, l'amore, l'intelligenza, la cultura sono desolatamente inquinate da tare sempre più irrimediabili, come il razzismo o la droga.

Dimostrando di raggiungere una maturità di sceneggiatore dopo aver meravigliato con la sua esuberanza d'inventore di forme, Spike Lee si conferma più che mai cineasta di un futuro che non è ormai più soltanto Black.


   Il film in Internet (Google)

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